venerdì 14 ottobre 2011


Ubuntu 11.10 provata da un povero alienato pazzo

Vi parlo un po' di me, muoio dalla voglia di farlo. Sono un tipo poco avvezzo all'idolatria. I pochi idoli che ho avuto modo di osannare nella vita sono stati personaggi di fantasia, eroi che hanno motivo di esistere solo nei libri. Di tanto in tanto mi sono trovato a provare forti sentimenti di ammirazione e rispetto anche per personaggi in carne e ossa, perlopiù uomini protagonisti della storia o del mondo musicale. Tutti morti. Se poi si parla di attaccamento a oggetti materiali, società produttrici di tecnologia e quantaltro, beh, sono totalmente, o quasi totalmente, immune.

Questo per dirvi che non sono, e sarò mai, un fanboy (accezione apple-oriented del termine). Sicuramente non un fanboy di un sistema operativo o di un lettore MP3 multitouch, qualsiasi essi siano. Non sono nient'altro che strumenti nelle nostre mani, ossia oggetti che utilizziamo per svolgere azioni. Mai pensato che questi e altri strumenti possano essere un fine, al massimo, se utilizzati correttamente, un tramite. 

Ho abbandonato Ubuntu all'inizio dell'anno, appena la shell Unity ha cominciato a prendere forma. Utilizzo con piacere e senza ripensamenti (o quasi) Fedora con KDE.

Detto questo, posso dire che Ubuntu negli ultimi sei mesi è migliorata tanto, a livelli che potrebbe anche essere usato per "gestire file" in un computer e lo dico conscio del fatto che a me, di Mark Shuttleworth, di Canonical, e di video di presentazione al limite della sopportabilità non me ne può fregar di meno.

Vi informo infatti che da questa versione, Ubuntu, finalmente abbandona la microfusione nucleare necessaria finora alla gestione delle animazioni 3d per tornare definitamente alla più rassicurante energia elettrica. E questo è un fatto lodevole. 

La dock, non so se si chiama ancora così, lancia applicazioni come niente fosse e a volte scompare con un bell'effetto a scorrimento (ai più non serve che sia sempre lì a mostrare il suo superentusiasmante effetto blur).

La menubar mostra quasi sempre i menù e, udite udite, il colore del testo cambia in funzione del tema gtk+ usato. L'animazione del selettore dello spazio di lavoro è fluida e piacevole, proprio come lo era quando usavo compiz da piccolo. 

L'Ubuntu Software Center è bellissimo, e lo dico senza alcuna vena ironica. Non ho avuto il coraggio di installare software per paura che da un momento all'altro comparissero, in quell'interfaccia stupenda, barre e barrette, lenses (che minchia sono!?) e Tirannosauri Rex. Non volevo correre l'inutile rischio di rovinare tutto quel ben di dio. Lo lascerò così, immacolato.

Il rimodernamento dei due temi di default è stato un insperato successo. Quei leggeri gradienti presenti nelle barre degli strumenti danno al tutto una sensazione di continuità. Insomma la cura dei particolari, da sempre agognata dagli utenti Linux, qui c'è e si vede. Onore al merito.

Sappiate quindi, detrattori sfegatati di Ubuntu e fanboy a scadenza semestrale che Ubuntu non fa schifo ma non è neanche il miglior sistema operativo del mondo, che a Mark piace far soldi ma è anche un po' convinto che quello che faccia possa tornare utile alle persone, che Arch Linux è molto figa ma mio nonno non è capace di installarla, che Unity non ti cambia la vita quando la tua vita fa schifo ma KDE non te la migliora poi di molto, che se è sabato sera e fuori piove, stare davanti al computer con l'ultima versione di Ubuntu, con Fedora o con l'ultima release di "un pinguino al polo nord" è comunque una merda.

To be continued...

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